Avvocato diffamazione Catania

Se sei indagato del reato di diffamazione o parte offesa, puoi contattare L’avvocato Davide Tutino esperto nel reato di diffamazione  in tutte le forme previste dal codice penale.

Cos’è la diffamazione

Battute pesanti, frasi offensive, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, il tutto anche potenziale, sulla reputazione della persona ritratta o di cui si scrive e/o parla,  possono integrare gli estremi del reato di diffamazione, disciplinato e punito dall’art. 595 c.p.

Occorre precisare che la diffamazione è un reato comune  e dunque risponde di tale reato chi comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona non presente.

La norma, offre un parziale rinvio al delitto di ingiuria previsto dall’articolo 594 del codice penale (oggi abrogato), in quanto costituente anch’esso delitto contro l’onore.

Ingiuria e Diffamazione

Le due fattispecie criminose si differenziano dal presupposto della presenza della persona offesa nel momento dell’azione criminosa, necessaria nel reato di diffamazione. I reati, tuttavia, possono tra loro concorrere, come avviene nel caso in cui, ad esempio, una lettera dal contenuto ingiurioso venga indirizzata, oltre che alla persona offesa, anche a terze persone.

  • Art 595 cp: Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito [c.p. 598] con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [c.c. 2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate [c.p. 29, 64]”. 

L’elemento materiale del reato implica tre requisiti:

  1. L’assenza dell’offeso;
  2. L’offesa all’altrui reputazione: e cioè qualsiasi atto o fatto che in presenza dell’offeso costituirebbe ingiuria;
  3. La comunicazione a più persone: e cioè la divulgazione, con qualsiasi mezzo, ad almeno due persone del fatto offensivo. Necessario è che le dette persone percepiscano il fatto offensivo; non è richiesta invece la contemporaneità della comunicazione.

Il delitto si consuma con la percezione da parte delle persone del fatto offensivo: così se sono state fatte due comunicazioni a soggetti diversi in tempi successivi è con la seconda comunicazione che il reato si perfeziona.

Il bene giuridico tutelato dal reato de quo è la reputazione.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l’interesse dello stato all’integrità morale della persona: il bene giuridico è, più specificamente, dato dalla reputazione dell’uomo, che altro non è se non la stima diffusa nell’ambiente sociale, l’opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro ( C., Sez. V, 28.2.1995, secondo cui la reputazione è un sentimento limitato dall’idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti in un dato momento storico; di più: la sentenza de qua ha avuto modo di affermare come l’opinione della persona è rilevante solo allorché sia conforme a quella sociale, nonché C., Sez. V, 12.10.2004, per la quale si deve intendere per reputazione l’opinione sociale dell’onore di una persona). 

Soggetto attivo del reato de quo può essere chiunque.

Quanto al soggetto passivo => occorre che sia lesa la reputazione di una persona determinata.

ELEMENTO SOGGETTIVO DI REATO

Per quel che attiene all’elemento soggettivo è qui sufficiente un dolo generico non richiesto uno specifico animus diffamandi, non hanno infatti rilievo i motivi dell’agente.

Si è affermato che lo scopo o il motivo di scherzo che si manifesti in modo suscettivo di ledere la reputazione altrui non impedisce l’integrazione del reato sul piano psichico.

Giurisprudenza

La Giurisprudenza:

  • Il dolo del reato di diffamazione può sussistere anche laddove si sappia che il fatto è vero(C., Sez. V, 23.2.1998; C., Sez. VI, 21.12.1978, che richiama in ogni caso il rispetto del limite di continenza poiché, dato che la norma in questione incrimina anche la propalazione di fatti veri, occorre evitare che l’esercizio del diritto si trasformi in uno strumento illecito di aggressione all’altrui reputazione).
  • La Suprema Corte, in una risalente sentenza, ha, però, avuto modo di affermare che, sebbene non sia richiesto un dolo specifico, è pur sempre necessaria la volontà di recare offesa all’altrui patrimonio morale, pur se tale volontà è normalmente insita nella stessa volontà dell’azione lesiva, e non deve, dunque essere provata (C., Sez. V, 10.1.1983).
  • Recentemente la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come il dolo, nel reato di diffamazione, debba investire non solo la condotta di esternazione di un’espressione diffamatoria, ma anche la circostanza che tale espressione venga a conoscenza di più persone.

I commi 2°, 3°, 4° dell’art 595 prevedono tre aggravanti speciali:

  1. L’attribuzione di un fatto determinato, art 595 comma 2: generalmente inteso come fatto non generico, accompagnato cioè da notazione atte farlo ritenere credibile. La giurisrudenza precisa che deve trattarsi dell’attribuzione di un fatto sufficientemente  delinato nel suo carattere e nei suoi contorni, così che ne derivi quell’aspetto di più agevole credibilità produttivo di maggior pregiudizio alla reputazione, cui si fonda la ratio dell’aggravante in questione;
  2. Offesa recata a mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità o in atto pubblico, art 595 comma 3: La ratio di questa aggravante sta nel fatto che “il mezzo di comunicazione usato importa una maggior divulgazione dell’addebito disonorante e, quindi, determina un maggior danno”. In forza dell’ art. 1, L. 8.2.1948, n. 47, sono considerate stampe o stampati “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”, essendo del tutto indifferente che si tratti di stampa periodica o episodica, legale o clandestina. In tale legge è altresì previsto un ulteriore aggravamento della sanzione penale nelle ipotesi di diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.

Con la L. 223/1990 il legislatore il legislatore ha previsto anche la diffamazione  compiuta col mezzo radiotelevisivo. Nel senso della norma, inoltre, sono atti pubblici quelli che, oltre ad essere formalmente tali, sono destinati alla pubblicità, in modo che qualunque interessato possa prenderne visione. Con riferimento ai giornali veri e propri è giurisprudenza costante che l’offesa può essere contenuta anche soltanto nei titoli o nei sommari. L’ art. 30, L. 6.8.1990, n. 223 dispone, al 4° co., che alla diffamazione commessa con il mezzo radiotelevisivo consistente nell’attribuzione di un fatto determinato si applicano le sanzioni previste dall’ art. 13 della legge sulla stampa, nonché una regola particolare in relazione alla competenza territoriale (stabilito con riferimento al foro di residenza della parte lesa).

La Suprema Corte ha avuto modo di affermare che la diffamazione posta in essere mediante Internet è punibile in forza dell’art. 595, 3° co., poiché esso, riferendosi «all’offesa recata […] con qualsiasi altro mezzo di pubblicità», consente di far rientrare nel suo alveo anche il mezzo telematico.

Dunque anche su Facebook e sugli altri social network.

FONTI: UTET/PLURIS 2014 – Manuale Simone 2015

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